Bastano poche pagine per capire che non si può essere preparati all'esperienza di leggere "In un battibaleno" di Damon Suede. Non vengono in aiuto né la sinossi né tanto meno i commenti, positivi o negativi che siano. Potrei affermare che si tratta di un'esperienza potente, dolorosamente autentica e feroce, senza ombra di dubbio alcuna. E potrei aggiungere che la storia d'amore è tenera e dal cuore tangibile e reale. Ma in effetti c'è molto di più. Questa storia, Damon Suede ce la racconta con uno sguardo compassionevole e attento su personaggi che si rivelano forti e allo stesso tempo fragili, spaventati e inconsapevoli delle proprie emozioni a un livello quasi crudele e distruttivo.
È vero, i romanzi sui cowboy, sull'omofobia e sulle famiglie disfunzionali non sono di certo nuovi. Non lo sono neanche quelli sul lutto, sulla perdita, sui rimpianti e sul senso della memoria. A renderli accattivanti e originali alla fine sono i personaggi. Soprattutto quando la loro costruzione prende le distanze dalle regole e si fonda sulle eccezioni. Oppure quando sfugge al giogo degli schemi precostituiti, o al rischio di cadere in trappole mal congegnate e trova significato nel ritmo della vita. Di esistenze che prefigurano il mistero e ci pongono dinanzi alla diversità e a tutto ciò che è discontinuo, incerto, a suo modo unico e inafferrabile.
Così, Suede prende la strada più difficile, o forse paradossalmente la più naturale e ovvia: non si lascia imbrigliare nelle maglie della censura o di certi stereotipi più che abusati e scivola nella mutevolezza della natura umana portando alla luce qualcosa di vivo e di umano. C'è nei protagonisti di "In un battibaleno" un senso di precarietà e di tragedia imminente che li rende veri e inquieti, investiti da una carica di solitudine vivida e struggente.
In fin dei conti, non esiste niente di più democratico e sovversivo del romanzo: tra le pagine di un libro c'è posto per tutti, contro ogni illogico perbenismo e pigro conformismo.
Il primo aspetto che stupisce, però, e impone il ritmo alla storia è l'ambientazione. Siamo lontani dalle luci sfavillanti delle grandi metropoli degli Stati Uniti, e siamo lontani anche dal sogno americano, da quel mito che detta le regole del successo, della ricchezza e della competizione a ogni costo. Suede ci trasporta oltre il Midwest, definito maledetto, scialbo, piatto, desolato, eppure sempre ricco di connotazioni evocative e mitiche le quali finiscono con il lambire — senza soluzione di continuità — il Texas, lo stato dalla natura identitaria più forte e fiera. Se nei paesi che fanno parte degli Stati Uniti medio occidentali ha avuto origine l'idea di tradizione, di unità, di un'anima conservatrice temprata dalle sofferenze e dalla fatica della vita rurale, nel Texas tale disegno si è tradotto in realtà.
Questa noiosa introduzione è necessaria perché sono davvero pochi i romanzi che nel M/M si radicano nel tempo e nel luogo con la stessa irremovibile saldezza di "In un battibaleno". Suede ci restituisce un affresco verosimile della sua terra, con la nitidezza tipica dello scrittore che si è appropriato delle Grandi Pianure fertili, delle sterili sabbie del deserto — dove gli Stati Uniti diventano Messico — e dei paludosi confini orientali.
Parliamo di un territorio esteso, segnato da conflitti e contraddizioni, meravigliosamente descritto nell'altrettanto meraviglioso, e di recente anche dibattuto, "Viaggio con Charley". Leggendo del Texas di Suede si rivivono la paura e l'impossibilità di John Steinbeck di sottrarsi a un destino ineluttabile, quello di un uomo che può "trascurare il Texas allo stesso modo in cui un viaggiatore spaziale può trascurare la Via Lattea." Perché "una volta che sei nel Texas, sembra che ci voglia un'eternità a uscirne, e certa gente non ne esce mai." Separarsene significherebbe sentire uno strappo fisico intollerabile, dal momento che "il Texas è uno stato mentale. Il Texas è un'ossessione. Soprattutto, e in tutti i sensi, il Texas è una nazione. E c'è un gruppo propedeutico di affermazioni generali. Un texano fuori del Texas è uno straniero."
Senza tener conto di pericolose semplificazioni e accostamenti azzardati, tra le parole del premio Nobel risuona il mondo emotivo dei personaggi di "In un battibaleno". In loro compagnia si vive un'esperienza indimenticabile tra il verde delle piante rampicanti di kudzu e le strade del Texas rurale, dove gli agricoltori del Midwest lasciano il posto ai cowboy, uomini rudi, eroicamente virili, dalla scorza dura e dal volto impietoso. Figli di una terra aspra e dolce, impassibile e inconsolabile, che trattiene, avvolge e immobilizza.
Il talento di Damon Suede, la sua bravura ed empatia descrivono un Sud che appare selvaggio e fatalista ma popolato da personaggi solidali e comprensivi, il cui calore esprime impegno, fatica e dolori taciuti, non falsati da sovrastrutture, trucchi e inganni. Ed è nella piccola comunità di Hixville — ovvero villaggio (ville) di bifolchi (hicks/hix) — che Patch Hastle deve fare ritorno dopo 6 anni di felice assenza. L'incidente fatale dei suoi genitori apre la questione dell'eredità, un problema che per lui, fuggito di casa e dall'omofobia oppressiva della sua piccola città di origine a soli 16 anni, va risolto in modo rapido e indolore. Ciò che Patch non si aspetta è di dover affrontare in un batter d'occhio anche un secondo problema strettamente legato al primo, e cioè il miglior amico di suo padre nonché sua nemesi storica, Tucker Biggs. Ma Tucker non è soltanto l'uomo che ha reso la vita di Patch un inferno. È anche il suo desiderio proibito, una tentazione irresistibile e insormontabile, una fantasia erotica che, come una mina vagante, abita e minaccia i suoi sogni — a occhi aperti e chiusi — da sempre.
L'amore, come la vita, è un campo di battaglia. E Damon Suede ci conduce nel cuore di una relazione tesa, frenetica, irrequieta e al contempo tenera e romantica. Attraverso vuoti di silenzio, tuffi nei meandri della memoria, gesti pigri e dalle superfici profonde, Suede ci trascina nei pensieri in rapido cambiamento di Patch, impegnato a confrontare, dividere e ricomporre ipotesi e interpretazioni antiche quanto la sua rabbia con scoperte nuove e illuminanti.
L'autore sembra rivelarci un'idea talmente evidente da essere spesso dimenticata: passiamo il tempo a chiarire, semplificare e a dare un senso al disordine della quotidianità, ognuno a modo proprio. E lo facciamo quando veniamo travolti dalle differenze e dalle asimmetrie della vita.
Patch è fuggito da un padre aggressivo e omofobo, da una città che gli è sempre stata stretta e ha rappresentato per lui una prigione fisica e mentale. Perché questo ventiduenne intraprendente e coraggioso ha l'argento vivo addosso, il fuoco del ragazzino ribelle, pronto a cogliere al volo ogni opportunità, soprattutto la più insidiosa, quella che promette di soddisfare il suo languore di indipendenza e libertà, o di possibile, completo disastro. La sua vita scorre sui binari veloci delle occasioni, della sua attività di modello richiestissimo e di famoso dj in giro per il mondo.
Ma ogni viaggio somiglia a una fuga. Da se stesso, dai suoi ricordi, dalla sua rabbia e dall'odio accumulato — e mai davvero superato — nei confronti di chi, secondo lui, ha sempre voluto dominarlo, con insulti e soprusi.
Così, ritornare a Hixville significa non solo riaprire e svuotare di ogni oggetto la casa che lo ha visto nascere e crescere, ma anche liberare il cuore dalla frustrazione, dal risentimento, dal rischio di una vita fittizia e dall'illusione dei sogni.
Cedere però non è facile, non quando si è abituati a difendersi, a resistere, o a fare finta di niente. E allora Patch decide di girare il coltello nella piaga, di affondare nell'oscurità, nel desiderio di nascondersi e di non vedere.
Ma nemmeno il buio può salvarlo dalla verità, dalla presenza concreta, tangibile, solida ed enorme di Tucker Biggs.
Tucker è reale, vivo, forte e, soprattutto, diverso. Non ha quasi nulla dell'uomo che è rimasto impresso nella memoria di Patch. Ha superato i 40 anni, e sì, è sempre affascinante, pericoloso, seducente, un vero e proprio diavolo tentatore, ma adesso porta con sé segreti impenetrabili, assenze che sembrano averlo incastrato in un presente stagnante, nel migliore dei casi lento e abitudinario. Tucker è privo di aspettative e speranze: a segnarlo in profondità gli errori e le ferite di una vita, nascosti sotto una coltre di placida e tenera rassegnazione.
"In un battibaleno" è un libro completamente nuovo e diverso, anzitutto rispetto al romanzo precedente di Damon Suede, "Testa calda". È un racconto crudo ed emozionante che mette due generazioni a confronto e si traduce in una sorta di frattura e contrasto intorno a cui ruota una delle più belle storie d'amore di cui io abbia mai letto. È un libro esplosivo che risponde a un criterio di autenticità chiaro e a suo modo felice.
I personaggi, magnificamente descritti, crescono, cambiano, maturano, sì, ma ciò che davvero colpisce e stimola e coinvolge è la sottigliezza con cui Suede passa attraverso i rimpianti, la nostalgia, la perdita, il desiderio di crescere e di ricominciare confondendo le nostre certezze e aspettative.
Soltanto un libro scritto davvero bene — e cioè con acutezza e coraggio — può alzare la posta in gioco e focalizzarsi su un comportamento specifico, su una scena che racchiude in sé qualcosa di profondo, sottile e pervasivo.
Nel romanzo questo avviene in un momento carico di tensione emotiva, intimo, sensuale ed elettrizzante. Tucker insegna a Patch a ballare, e quel passo — “Si fa... veloce, veloce, lento, lento” — detta il ritmo del racconto e degli eventi, svelando ai personaggi i loro stessi bisogni e desideri.
In tal modo, la storia d'amore — nata a partire da un turbamento, da uno scuotimento emozionale e viscerale — spinge i due protagonisti verso il mistero e l'inusuale. Quando l'impazienza di Patch aumenta, il tempo intorno a lui sembra rallentare, e così le cose, gli eventi e Tucker — naturalmente, Tucker — frenano i suoi impulsi, l'urgenza, la disperata necessità di fuggire, di correre e scappare.
Raramente nel M/M ho trovato un gap così ben costruito, solido, persuasivo, reale. Suede si affida alla propria ruvidezza beffarda e amorevole per illuminare la vita di due persone comuni e il loro modo differente — per età, esperienze e condizionamenti familiari — di vivere i rapporti e le pressioni sociali, le emozioni, i sentimenti, il sesso e il potere. Così, mentre la loro relazione cresce e si evolve velocemente travolgendo ogni cosa, l'intimità — fatta anche di dialoghi e di confidenze sofferte — diventa lenta, indolente, docile, cedevole e rilassata. E nel contempo calda, sensuale, carnale, spinta in modo unico e totale. È in questi attimi di piacere prolungato e appassionante, in cui le dinamiche di potere aiutano la fiducia a fiorire, che Tucker insegna a Patch a prendere la giusta distanza, a prendersi il suo tempo, a smettere di correre per stringere il nulla e a rallentare per imparare, finalmente, a camminare.
Ma anche Patch spinge Tucker a esplorare una nuova parte di sé; gli mostra come volersi bene e come voler bene a quel ragazzo che non è mai stato. E alla fine quel ballo in mezzo alla calda natura texana diventa la metafora più romantica e poetica del loro rapporto, e una delle più emozionanti in assoluto. Fino al momento in cui Patch cresce e si espande attraverso i ricordi e le emozioni, iniziando lentamente a vedere e a leggere la realtà da una nuova prospettiva, dalla prospettiva di qualcun altro e, infine, dalla prospettiva di Tucker.
Nonostante ciò, sebbene da una parte Suede smentisca le parole di Francis Scott Fitzgerald, e cioè che non esistono secondi atti nelle vite degli americani, dall'altra invece apre la strada al rimpianto e alle occasioni mancate, perché non sempre nella vita si ha una seconda opportunità, e non sempre c'è un lieto fine.
Il ritorno a Hixville, infatti, segna un momento cruciale nella vita di Patch Hastle sotto diversi punti di vista. Il suo non è soltanto un tornare alle origini, un viaggio luttuoso e inevitabile, ma è anche un tentativo più o meno cosciente di recuperare parte di una memoria e di un passato che appaiono perduti irrimediabilmente. Alcune domande rimarranno senza risposta, ma non il senso ritrovato di casa, non le parole del padre che ricordano quelle sagge di Kurt Vonnegut nell'introduzione del suo romanzo "Madre notte": "Noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere."
Posso affermare con certezza che "In un battibaleno" è uno di quei romanzi che non dimenticherò mai. Ogni aspetto — la trama, i personaggi, il linguaggio crudo e diretto, sporcato dallo slang e dal dialetto così efficace e tangibile — è un promemoria di ciò che siamo: più della somma della nostra storia necessaria e ineluttabile, appena al di sotto della superficie. Della nostra voglia vibrante di fuggire, di correre e scappare.
Del resto, è lo stesso Tucker a sussurrarlo a Patch, e forse, sorprendentemente, a ognuno di noi:
“Frena i cavalli, che non vai da nessuna parte.”